Aggressività da paura nel cane.
di Francesca Basterebbe – Medico veterinario
INTRODUZIONE
L’aggressività è una dote naturale che riguarda la tendenza alla minaccia, all’autoaffermazione e all’attacco di una preda o di un avversario. È presente sia negli animali selvatici che negli animali domestici e risulta uno dei problemi comportamentali più frequenti nel cane.
Vittime dell’aggressività possono essere non solo altri cani (aggressività intraspecifica), ma anche animali di specie differenti, compreso l’uomo (aggressività interspecifica). L’aggressività è un fenomeno complesso che può avere numerose cause; possiamo distinguere inizialmente due grosse categorie: aggressività da causa organica e aggressività da causa non organica. L’aggressività da causa organica comprende sia quella causata dal dolore, che quella che si sviluppa in uno stato patologico come neoplasia, ipossia cerebrale o ipotiroidismo. L’aggressività da causa non organica costituisce la percentuale maggiore, fra l’80 e l’85%, e comprende numerose tipologie tra cui le più importanti sono: aggressività da dominanza, da paura e aggressività territoriale.
AGGRESSIVITA’ da PAURA
Dopo l’aggressività da dominanza, quella da paura è la forma più frequente d’aggressività sviluppata verso le persone.
L’aggressività da paura non è sessualmente dimorfica, si presenta cioè in ugual percentuale nei soggetti maschi e nelle femmine.
La paura può essere una condizione normale quando il soggetto si trova in situazioni sconosciute o pericolose, oppure quando l’animale ricorda esperienze passate negative; è patologica se presente in situazioni normali. L’aggressività da paura si manifesta infatti quando il cane è spaventato, indipendentemente dal fatto che si sia verificato un evento che possa giustificare il suo comportamento; si presenta quindi anche in assenza di minacce apparenti.
CAUSE
L’aggressività da paura è causata da numerosi fattori che spesso si verificano in concomitanza.
La tendenza a sviluppare paura verso situazioni nuove o di fronte a persone estranee è in buona parte dovuta a fattori genetici. Numerosi studi infatti dimostrano che la paura è uno dei caratteri comportamentali che maggiormente può essere ereditato e che è frequente riscontrare comportamenti di paura nei soggetti appartenenti alle stesse linee genetiche.
Altri studi invece mostrano come la maturazione sociale e le modificazioni comportamentali che accompagnano il cucciolo durante la crescita siano fattori che vanno di pari passo con lo sviluppo delle paure e dell’aggressività. L’aggressività da paura può essere quindi il risultato di una scorretta socializzazione o di un relativo isolamento dell’animale durante il periodo sensibile, che si estende dalla terza alla dodicesima settimana. Importante in ogni modo è tener presente che la mancanza di contatto con persone ed animali non implica necessariamente che il soggetto mostrerà problemi di paura e/o aggressività, anche se ciò costituisce un importante fattore di rischio.
È stato inoltre dimostrato che i cuccioli di determinate razze sono più sensibili agli effetti di una scorretta socializzazione, mettendo così ulteriormente in evidenza come i fattori genetici e le esperienze delle prime settimane di vita dell’animale possano condizionare lo sviluppo dell’aggressività da paura.
Altro aspetto da tener presente è che i problemi di socializzazione inadeguata possono limitarsi ad una determinata tipologia di persone; in altre parole è possibile che un cane sia ben socializzato nei confronti di adulti e diversamente non lo sia verso bambini, handicappati o persone con odori o atteggiamenti particolari,a causa del fatto di non esserne venuto a contatto durante il periodo sensibile.
L’aggressività da paura può anche essere conseguenza di un’esperienza traumatica: il soggetto può sviluppare aggressività da paura ogni qual volta si ritrovi a vivere un’esperienza simile a quella sgradevole vissuta in precedenza. Per esempio cani che sono sottoposti a terapie mediche dolorose ripetutamente o per lunghi periodi possono sviluppare aggressività da paura quando sono nuovamente avvicinati dal veterinario. Anche punizioni inappropriate da parte del proprietario possono causare aggressività da paura; è probabile che l’animale associ l’esperienza punitiva all’avvicinarsi del proprietario, anziché comprendere di essere stato punito a causa di un proprio comportamento scorretto; ad esempio un cane che ha defecato in un ambiente non idoneo e che viene sgridato in un momento non immediatamente successivo all’atto non sarà in grado di capire il motivo della punizione e svilupperà inquietudine o paura nei confronti del proprietario.
L’aggressività da paura può talvolta essere l’unica risposta che l’animale ha imparato a mettere in atto. Un ruolo fondamentale nei confronti di questo problema comportamentale è svolto dal proprietario che, dando al cane rinforzi positivi o negativi, può aggravare o migliorare la condizione del soggetto.
Abbiamo già visto che l’aggressività da paura è fortemente legata alla componente appresa, cioè alle esperienze vissute in precedenza che resisteranno a lungo nelle memoria dell’animale. Il cane inizialmente mostra aggressività nelle situazioni in cui ha paura per il semplice fatto che questo è l’unico comportamento che ritiene di poter mettere in atto. Se il cane verifica che, quando si mostra aggressivo, il proprietario lo “ricompensa” con parole dolci e carezze e contemporaneamente l’avversario intimidito si allontana, imparerà che il suo atteggiamento è efficace, sarà in un futuro pronto a ripeterlo e diventerà per noi sempre più difficile controllare la sua aggressività. Il proprietario deve invece mostrare una reazione più soddisfacente all’animale e che impedisca il comportamento aggressivo.
DIAGNOSI
La diagnosi d’aggressività nel cane è basata su tre criteri clinici: il bersaglio ed il contesto in cui si verificano le aggressioni, la postura dell’animale durante detti episodi e la sequenza di fasi che normalmente identificano le aggressioni.
Solitamente il cane dimostra aggressività da paura verso persone o animali sconosciuti che, dal suo punto di vista, possono rappresentare un elemento di pericolo.
L’aggressività da paura, nella maggior parte dei casi, è evidenziabile dal fatto che l’animale adotta una postura difensiva quando l’estraneo si avvicina a lui. I segni iniziali includono il tentativo di fuga e l’indietreggiamento dall’elemento che ne scatena la paura. Il soggetto infatti vuole evitare il contatto il più possibile con la persona o l’animale che si è avvicinato a lui. Tiene la coda nascosta tra le zampe posteriori, cercando di limitare il più possibile la propagazione dei suoi odori (derivanti dalla zona perianale), il dorso e la testa sono tenuti bassi, vicino al suolo, le orecchie sono posizionate indietro ed attaccate al cranio, le labbra sono retratte prima orizzontalmente poi verticalmente ed, in ultimo, il pelo al garrese può essere alzato.
Il soggetto al principio ringhia, aumenta poi le vocalizzazioni che si fanno più intense e di volume più alto ed associa eventualmento tentativi di morso e pizzicature.
L’animale si mostrerà davvero aggressivo solo quando non avrà più una via di fuga.
Questi comportamenti patologici sono in contrasto con quelli di un cane sano che, impaurito, si sottomette, tiene la coda tra le zampe, espone il collo e l’addome ed eventualmente minziona, ma non mostra segni vocali o fisici d’aggressività.
La sequenza delle fasi dell’aggressione possono essere schematizzate nel seguente modo:
• Fase INTIMIDATORIA: abbaio, ringhio, labbro sollevato.
• Fase CONSUMATORIA: morso singolo o multiplo.
• Fase CONCLUSIVA: rilascio del morso e interruzione dell’attacco.
La sequenza non sempre risulta lineare. Analizzando gli attacchi eseguiti dal soggetto si possono individuare differenze variabili a seconda del tipo d’aggressività.
Nel caso dell’aggressività da paura il cane, durante la fase intimidatoria, abbaia o ringhia indietreggiando, anziché avanzare, comunicando così alla persona o all’animale che si trova di fronte che non vuole essere avvicinato. L’attacco è poi sferrato mordendo furtivamente, senza mantenere a lungo il morso e scappando via il più presto possibile. In altri casi l’animale potrebbe aggredire alle spalle per poi fuggire.
Diversa è invece la sequenza in caso d’aggressività predatoria, dove la fase intimidatoria tende a scomparire o ad essere molto ravvicinata alla fase consumatoria, sferrando un attacco senza preavviso, al fine di conseguire l’effetto sorpresa per prendere la preda.
Altro esempio è l’aggressività gerarchica che, in situazione di dominanza, presenta una fase consumatoria con un morso breve seguito immediatamente da una nuova fase d’intimidazione; in situazione di competizione per il ruolo da assumere l’animale mantiene invece la presa fino all’ottenimento della sottomissione dell’avversario, sia esso l’uomo o un conspecifico.
Importante è tener presente che la postura e i movimenti dell’animale non sempre rispondono a questa classificazione così chiara. In caso di aggressività da paura il cane a volte può comportarsi come se volesse aggredire la persona o l’animale senza manifestare chiaramente un atteggiamento difensivo. Nonostante tutto, anche in queste situazioni apparentemente meno chiare, un’osservazione attenta del soggetto può offrirci indicazioni importanti riguardo alla causa primaria che è appunto la paura.
Le diagnosi differenziali più importanti sono l’aggressività da ipotiroidismo, da dominanza e quella territoriale.
Sono stati condotti studi che hanno dimostrato che l’ipotiroidismo può essere un fattore aggravante dell’aggressività da paura. È stato verificato in sperimentazioni successive che l’ipotiroidismo è relazionato all’1,7% dei casi di problemi di aggressività nel cane e, pertanto, sarebbe consigliabile valutare i livelli plasmatici di T3 e TSH in ogni caso di aggressività per verificare se il comportamento dell’animale dipende dalla combinazione di paura e ipotiroidismo. Se il risultato fosse positivo il trattamento dovrebbe includere, oltre agli interventi per l’aggressività da paura, anche la terapia specifica per la malattia concomitante.
L’aggressività da paura è distinguibile da quella da dominanza e da quella territoriale in base al contesto nel quale si verificano gli attacchi, le persone o gli animali verso i quali sono indirizzati e, come detto in precedenza, la postura del cane e la sequenza delle fasi d’attacco.
L’aggressività da dominanza è più frequente nei soggetti maschi verso animali o persone che possano competere con lui per il posto da occupare nella scala gerarchica ed è più frequentemente diretta verso soggetti che vivono nello stesso territorio.
L’aggressività territoriale ha per scopo la difesa dello spazio che l’animale percepisce come suo, sia esso la casa in cui vive o il parco che frequenta. Il cane ringhia, abbaia ed eventualmente aggredisce chi tenta di invadere questo territorio, non indietreggia di fronte allo sconosciuto, anzi gli va incontro arrestandosi a qualche metro di distanza e lo fissa con atteggiamento di sfida. Se l’avversario cerca il confronto, il difensore marca il territorio urinando e grattando il suolo con i quattro arti (in cane espande cosi l’odore dell’urina ed i propri feromoni presenti nelle ghiandole interdigitali).
È difficile inoltre che l’aggressività territoriale si presenti in ambienti sconosciuti al soggetto, che in questo caso non dovrebbe difendere nulla di “suo”, mentre è probabile che casi d’aggressività da paura si verifichino in situazioni sconosciute al cane ed in ambienti nuovi dove l’animale non si sente tranquillo e a suo agio. Possono verificarsi casi di aggressività territoriale associata a paura; in queste situazioni il soggetto mostrerà atteggiamenti intermedi: darà inizio all’episodio in un ambiente a lui familiare, ma allo stesso tempo terrà una postura difensiva, indietreggerà e si terrà a distanza il più possibile dall’avversario.
PROGNOSI
La prognosi dell’aggressività da paura è variabile e dipende in particolar modo dalla causa del problema.
I casi originati dalla mancanza di un’adeguata socializzazione con persone ed animali durante il periodo sensibile hanno una prognosi generalmente negativa. Al contrario, i problemi che hanno avuto origine
da un’esperienza traumatica, sono soliti avere una prognosi migliore.
I rinforzi negativi e positivi che l’animale ha ricevuto durante e successivamente agli attacchi d’aggressività svolgono, come già detto, un ruolo importante. L’animale che ha subito un maggior condizionamento ovviamente avrà più difficoltà a dimenticare, o meglio, a desensibilizzarsi nei confronti delle esperienze passate.
TRATTAMENTO
Il trattamento per l’aggressività da paura si basa principalmente su un programma d’addestramento, un programma di desensibilizzazione e controcondizionamento e talvolta sulla somministrazione di farmaci.
Si è constatato che la castrazione non ha alcun effetto su questa forma d’aggressività, a differenza di quanto accade in casi di aggressività da dominanza o intraspecifica.
Il programma d’addestramento deve includere prima di tutto una serie d’esercizi d’obbedienza, che possano assicurare al proprietario un buon controllo sull’animale. Il proprietario deve infatti poter essere in grado di impedire che si verifichino episodi spiacevoli in cui l’animale morda persone o animali estranei.
Una volta raggiunto quest’obbiettivo bisogna esporre gradatamente il soggetto alle situazioni che possano scatenare la paura. Il proprietario deve impedire che il cane assuma atteggiamenti aggressivi, deve quindi, prima di tutto, imparare a riconoscere i segnali ed il linguaggio del corpo del soggetto per evitare che questo dia inizio ad un episodio d’aggressività.
Il controllo dell’aggressività del cane da parte del proprietario può essere raggiunto mediante un ordine relativamente semplice, come il “seduto”, al quale l’animale ha imparato ad ubbidire durante il precedente periodo d’addestramento. Il cane deve associare a questo comando, seguito dal suo comportamento corretto, un evento positivo, pertanto il proprietario, quando l’animale ubbidisce al suo comando e non manifesta comportamento aggressivo, deve ricompensare il cane con carezze, messaggi vocali e/o con il premio più ambito dall’animale.
Questo processo di desensibilizzazione deve svolgersi in modo graduale: durante le prime sessioni l’animale deve essere tenuto ad una distanza relativamente grande dall’elemento che scatena l’aggressività, riducendo
poi progressivamente le distanze in base a come il cane risponde all’addestramento. Durante questo lavoro bisogna sempre evitare di esporre il soggetto a stimoli molto intensi, che possano scatenare paure difficilmente controllabili. Se il soggetto è potenzialmente pericoloso è consigliabile usare la museruola o altri metodi contenitivi durante le prime sessioni d’addestramento.
Per far associare al cane i momenti d’addestramento a situazioni piacevoli è molto utile dare rinforzi positivi all’animale nel momento in cui ubbidisce o si comporta come noi vogliamo. In questo modo, successivamente alla desensibilizzazione, si potrà realizzare il controcondizionamento: il cane imparerà ad associare il gioco con il padrone e la ricompensa ambita con quelle situazioni che precedentemente davano origine agli episodi di aggressività.
È fondamentale per la riuscita del trattamento che il proprietario non dia mai ricompense al soggetto cercando di tranquillizzarlo quando si mostra aggressivo; al contrario deve assolutamente interrompere il comportamento e solo quando l’animale si mostrerà rilassato potrà ricevere la ricompensa.
Nel caso in cui il soggetto non ubbidisca ai comandi del proprietario, perché troppo recettivo verso lo stimolo scatenante la paura, bisogna allontanare il cane fino a quando possa sentirsi al sicuro, senza usare correzioni fisiche, le quali andrebbero ad aggravare la situazione, aumentando la paura nell’animale già terrorizzato.
Non si deve mai mettere alle strette un animale con aggressività da paura, questo infatti non avrà altra scelta che passare alla fase d’attacco e mordere.
Problemi comportamentali particolarmente complesi e radicati spesso si rivelano estremamente difficili da trattare mediante le tecniche di modificazione compotramentale di cui abbiamo parlato in precedenza. Nei casi in cui la paura dell’animale è molto intensa, una terapia farmacologica di supporto può risultare estremamente efficace facilitando ed accelerando quei programmi di trattamento che altrimenti risulterebbero estremamente lunghi o persino inefficaci.
Negli ultimi cinquant’anni le ricerche e le sperimentazioni sui farmaci da utilizzare in medicina veterinaria sono state numerose ed hanno portato ad ottimi risultati per la cura di vari disturbi comportamentali.
In particolar modo l’amitriptilina e gli altri antidepressivi triciclici sembrano essere i farmaci che danno i migliori risultati nel trattamento dell’aggressività da paura.
È importante ricordare che la terapia farmacologica non è effecace da sola ma deve essere sempre associata ad un programma di addestramento; i farmaci infatti non possono eliminare la paura e l’aggressività che ne deriva né tantomeno insegnare il comportamento corretto all’animale ma servono per ridurre l’ansia, senza interferire sulle capacità di apprendimento, e per diminuire la reattività del soggetto senza indurre sedazione, rappresentano quindi solo un mezzo per ottenere in minor tempo eventuali miglioramenti.
Dato che la durata della terapia farmacologica può essere protratta per lunghi periodi, prima di intraprendere ogni trattamento è necessario sottoporre l’animale ad alcuni esami del sangue per valutarne la salute e verificare l’assenza di controindicazioni.
In ogni caso il ricorso ad un supporto farmacologico deve sempre essere valutato in base alle esigenze pratiche dei proprietari e alla loro disponibilità nei confronti di questo tipo d’intervento e deve essere prescritto solo da persone altamente qualificate dopo un’accurata visita medica e comportamentele e solo in seguito del raggiungimento di una diagnosi certa.
Ulteriori studi riguardo il trattamento dell’aggressività ad paura hanno dimostrato come le proteine contenute nella dieta incidano sul comportamento dell’animale. Somministrando diete a basso, medio ed alto tenore proteico a gruppi di cani affetti rispettivamente da problemi d’aggressività da dominanza, aggressività territoriale e iperattività, si è verificato che il comportamento dei soggetti iperattivi e con aggressività da dominanza non ha subito variazioni, contrariamente a quanto è successo ai cani con aggressività territoriale associata a paura che ha dimostrato una diminuzione dei problemi comportamentali nelle settimane in cui sono stati alimentati con diete a basso e medio tenore proteico.
Anche diete con elevati contenuti di triptofano, un particolare amminoacido che serve a formare importanti neurotrasmettitori, sembrano dare esiti positivi riguardo la riduzione di episodi di aggressività.
Detti risultati danno spunto a nuove sperimentazioni per arrivare in un domani ad associare ai trattamenti, farmacologici e non, diete alimentari specifiche, non solo per gli animali affetti da malattie organiche, ma anche per i soggetti affetti da problemi comportamentali che possono migliorare con interventi alimentari.
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