PRESENTAZIONE
Dopo aver redatto il presente lavoro, predisposto in conformità a una decisione assunta dal Consiglio Nazionale AIAD del giugno 2011, ho deciso di presentarlo al presidente IDC, signor Hans Wiblishauser nel corso della riunione del Presidium IDC, tenuta nel settembre 2011, per ottenerne l’adesione. Ho poi preso atto con gioia del vivo interesse di tutto il Presidium, espresso con l’invito di portare avanti il progetto per conto dell’IDC, in maniera che, dalla sua realizzazione ne beneficiasse tutta la popolazione mondiale del Dobermann. Il giorno dopo, l’Assemblea Generale dei Club delle Nazioni aderenti all’IDC, ha ratificato unanimemente l’incarico. Il tempo trascorso è servito per riadattare il progetto, trovare uno sponsor che ne garantisse la realizzazione e trovare un gruppo di ricercatori qualificati che lo portasse a termine.
Lo sponsor è l’Istituto Veterinario di Novara, appartenente al Gruppo “Policlinico di Monza Cliniche Private SPA”. Esprimo la mia più viva riconoscenza e ringrazio di cuore il presidente del Gruppo Policlinico di Monza Cliniche Private SPA, dott. Michelangelo de Salvo e il vice presidente, dott. Massimo De Salvo per la loro sensibilità cinofila e liberalità.
La realizzazione del progetto è stata affidata al Servizio Veterinario di Genetica Molecolare della Autonoma Università di Barcellona, diretto dal Dr Armand Sanchez. La Direzione Scientifica del progetto è affidata al dr Erik Zini direttore scientifico dell’Istituto Veterinario di Novara, al drArmand Sanchez e a me.
Secondo la mia visione, questo ambizioso progetto dà l’avvio a uno studio scientifico, per quanto a mia conoscenza, mai portato avanti o concluso e messo in pratica per nessuna razza canina.
Esso potrà essere modificato, riaggiustato in itinere, migliorato, ma, da qui in avanti, la sua buona riuscita dipenderà soprattutto dall’entusiasmo e dall’impegno con cui tutti e ciascuno; i Club affiliati all’IDC, gli Allevatori, i Soci, e gli Appassionati del Dobermann, si dedicheranno alla sua realizzazione.
Viva il dobermann
Pierluigi Pezzano
1.0 INTRODUZIONE, PREMESSE, CONSIDERAZIONI E PROPOSTE
Da decenni, l’allevamento delle razze canine è stato condotto:
- senza dare una univoca interpretazione dello Standard di razza e un indirizzo di giudizio ad allevatori e giudici, in ciascuna nazione e sul piano internazionale;
- senza definire a priori un obiettivo, cioè senza indicare chiaramente agli allevatori quale cane allevare, con quali caratteristiche morfologiche, attitudinali e del carattere;
- senza definire una strategia di selezione, peraltro impossibile da definire senza un obiettivo;
- senza un metodo: si usano, spesso senza discriminante alcuna, tutti i possibili ceppi di sangue e 0tutti i tipi morfologici in una mescolanza spesso sconclusionata, poiché l’Allevatore, senza un indirizzo preciso, è costretto ad affidarsi alle sue esclusive capacità e conoscenze, al suo intuito o alle mode.
Il risultato è una popolazione di cani di razza, poco omogenea rispetto alle qualità morfologiche e attitudinali e imprevedibile rispetto alla trasmissibilità genetica. In sintesi il massimo del rischio.
Uno degli esempi più indicativi e diffusi dell’impostazione concettualmente e sostanzialmente errata dell’Allevamento è la ricerca spasmodica dello stallone di moda. Tale modo di fare comporta l’uso esagerato, del medesimo maschio per un grande numero femmine in uno stesso Allevamento o in più allevamenti nello stesso periodo. Questa pratica riduce sensibilmente il numero di maschi riproduttori, squilibrando il rapporto numerico tra maschi e femmine e, quindi, fa venir meno il contributo alla taglia efficace e alla variabilità genetica della popolazione. Esiste in proposito una recente direttiva della FCI che richiama alla necessità di limitare sia la prole delle fattrici sia quella degli stalloni. Quella direttiva, opportunamente adeguata alle esigenze della nostra razza potrebbe essere l’inizio di una inversione di tendenza decisiva per il miglioramento della strategia degli Allevatori e, quindi, del Dobermann.
Il principio su cui si fonda il Campionato di Allevamento AIAD, fin dal 1980: proclamare, non uno ma più campioni sociali ogni anno, è finalizzato a indicare all’Allevamento più stalloni di linee di sangue differenti e,
quindi, a dare il corretto apporto maschile alla variabilità genetica e alla taglia efficace della popolazione dobermann. La verifica attitudinale richiesta agli aspiranti Campioni Sociali è finalizzata a indirizzare
l’allevamento all’utilizzo in riproduzione di soggetti con spiccate attitudini e qualità naturali. E’ noto, infatti, che Dobermann con spiccate qualità naturali, anche se con qualche piccolo difetto morfologico, hanno e
possono dare un vantaggio di fitness genetico.
Il punto di forza fondamentale del Dobermann europeo è che buona parte degli Allevatori ha compreso che lo Standard è uno e che occorre allevare una razza unica nella morfologia, nelle attitudini e nel carattere
secondo il dettato dello Standard. Il fenomeno delle due”non razze”, allevate nell’ambito del medesimo Standard, una per la morfologia, l’altra per le attitudini (laddove né per l’una né per l’altra si tiene conto del
carattere), diffusissimo in tutta Europa nell’ambito dei cani da impiego e per lo sport, è, per fortuna, assai lontano dalla cultura della stragrande maggioranza dei nostri Allevatori.
Un secondo, importante punto di forza è la passione che il Dobermann genera nelle nuove generazioni: tutti quei giovani che affollano i nostri ring rappresentano la garanzia che la nostra razza, avrà un futuro
migliore del suo presente.
Sempre a mio parere i nostri punti di debolezza sono:
- una visione dominante rivolta essenzialmente all’utile economico, peraltro legittima per gli allevatori, ma a discapito della dovuta, reale e veritiera attenzione ai controlli sanitari, morfologici, attitudinali e del carattere;
- il convincimento di molti che la problematica dell’allevamento del Dobermann possa essere ridotta a una sequenza di accoppiamenti più o meno studiati della loro femmina con uno o più maschi. Secondo tale visione il ciclo di riproduzione sarebbe ridotto a soli tre eventi: decisione di accoppiamento, nascita dei cuccioli, vendita. Questo modo di procedere, iper-semplificatore, è rischiosissimo. Ogni singolo Allevatore, invece, dovrebbe elaborare una propria strategia allevatoriale, in coerenza con la sua cultura e visione della razza. Anche se sarebbe comunque opportuno che le singole strategie si conformassero ad alcuni prerequisiti generalissimi definiti dall’IDC e dai Club di razza. L’allevatore dovrebbe prima di tutto puntare all’obiettivo di selezionare le proprie fattrici. Soltanto attraverso la selezione attenta delle fattrici, una generazione dopo l’altra, l’allevatore può ottenere la prevedibilità dei risultati dell’allevamento, contenendone i rischi. Allevare con fattrici di cui non si conosce la storia allevatoriale, rende molto meno prevedibili i risultati e, quindi, molto più rischioso il lavoro di selezione e miglioramento. In ogni caso, comunque l’Allevatore abbia cominciato la propria avventura, l’esigenza di procedere nel tempo a una selezione accurata e severa delle proprie fattrici, è ineludibile.
La selezione delle fattrici è una dimensione strutturale e non congiunturale della strategia dell’allevatore.
L’Allevatore dovrebbe selezionare, per quanto possibile nell’ambito del normotipo e del ceppo di sangue cui appartengono le sue fattrici e puntando al consolidamento, per lo meno in una prima fase, attraverso l’uso sapiente del linebreeding. In una seconda fase, al miglioramento con stalloni miglioratori le cui qualità riproduttive siano definite su basi statistiche; sapendo però che, in ogni modo, il valore atteso dell’accoppiamento dipende più dalla fattrice, cioè dalla capacità dello stallone di migliorare quella specifica fattrice. “Si sa”,infatti, per esperienza, che un dato stallone produce risultati ottimali solo con fattrici che abbiano determinate caratteristiche dal punto di vista genealogico, non con tutte le fattrici;
- la prova di Ztp ha un ruolo utile ed efficace soltanto in alcuni Paesi, cioè in quelli dove è molto diffusa e abitualmente praticata. Di contro, lo Ztp (che, forse, da un punto di vista regolamentare, andrebbe rivisto nella parte che riguarda la verifica del comportamento del Dobermann in situazioni poco note), dovrebbe diventare patrimonio dell’Allevamento Mondiale del Dobermann. Con ciò intendo dire che, al fine di consentirne la più ampia diffusione possibile fra gli allevatori e i soci dei vari Club affiliati all’IDC, è auspicabile che ogni Nazione adotti il Regolamento di Ztp. Allo stesso tempo ogni Nazione dovrebbe chiedere la formazione e l’abilitazione di un giudiceallevatore che giudichi nel rispetto dei criteri dati dalla Dobermann Verein e V. Fermo restando che prima della prova di Ztp ogni dobermann dovrà essere sottoposto a prelievo di sangue per il controllo del DNA. Desidero spiegare meglio questa mia convinzione. Come noto, lo Ztp ha la funzione di indicare all’Allevamento i soggetti adatti alla riproduzione ed escludere i non idonei. Lo Ztp, prova facile da superare per un soggetto normale, ha quindi una funzione selettiva e, come tale, deve essere reso accessibile ai più, non riservato a pochi volenterosi. In questo senso, o lo Ztp diventa cultura dell’Allevamento del Dobermann e a essa è sottoposta la maggior parte dei soggetti che da usare in Allevamento o essa perde la sua efficacia e il suo valore. Se, infatti, in una data Nazione, i soggetti che superano ogni anno la prova di Ztp, sono soltanto una diecina, i loro figli saranno i più richiesti e ciò non porta alcun miglioramento alla razza. Semmai può comportare soltanto un ulteriore inutile restringimento della base di sangue. Inutile perché, se la prova non è estesa ai più e non vi è confronto tra i soggetti che l’hanno superata, usare un dato riproduttore perché ha superato lo Ztp, non da garanzia alcuna. In quella stessa Nazione, infatti, vi potrebbero essere altri venti o trenta o più soggetti migliori di quello usato perché in possesso di Ztp, ma mai testati …
Se invece la prova di Ztp è resa facilmente accessibile ed estesa a tutto l’Allevamento, essa riacquista la sua funzione essenziale di verifica preliminare, semplice e uniforme per l’Allevamento. Negli ultimi anni la prova si è già parzialmente diffusa nelle varie Nazioni e molti hanno imparato a conoscerla, adesso però sarebbe necessario fare un indicativo passo avanti ;
- la ricerca sulla displasia dell’anca e sulle altre patologie ereditarie, in alcuni Paesi membri dell’IDC, è lasciata senza controllo e alla libera iniziativa degli allevatori. Essa, invece, dovrebbe essere controllata e validata dai Club di razza e fatta su protocolli approvati dall’IDC, se non già emanati dalla FCI;
- manca una interpretazione univoca dello Standard di razza, comprensiva di criteri di giudizio uniformi da sottoporre all’Approvazione della Assemblea dei Club IDC e da diffondere e adottare in tutti i Paesi membri dell’IDC. I criteri di giudizio potrebbero essere periodicamente modificati inseguito a motivate e documentate proposte contenute nella Relazione Annuale del Responsabile dell’Allevamento IDC, previa discussione e approvazione da pare dell’Assemblea IDC.
Mi pare che le iniziative proposte per migliorare alcune delle criticità elencate, unitamente a giudizi sul ring che comprendano una spiegazione minima del perché delle scelte del giudice (almeno nelle manifestazioni di più alto livello), potrebbero migliorare le performance del nostro allevamento e contribuire alla diffusione di una cultura dobermann condivisa. Oltretutto, alcune di tali iniziative costituiscono già regola fissa in diverse Nazioni. La spiegazione della sintesi del giudizio e delle differenze tra concorrenti che stanno alla base di una data classifica, procedendo per eliminatoria, dal quarto al primo, da valore al lavoro dell’esperto Giudice e fa sì che tutti possano comprendere, anche se non sempre condividere, la sua coerenza o, almeno, la sua visione della razza.
Un’altra scelta fondamentale che dovrebbe caratterizzare fortemente la determinazione dei Club di Dobermann aderenti all’IDC, riguarda la lotta contro le più frequenti patologie ereditarie. Sarebbe, infatti, auspicabile che i Paesi membri rendessero obbligatorio, come già deciso dall’AIAD da quasi quarant’anni per le patologie oculari e con inizio dallo 01-01-2013 per la Miocardiopatia Dilatativa (DCM), per tutti gli aspiranti al titolo di Campione Nazionale di Allevamento, di Campione Sociale di Allevamento e a quello di IDC Sieger, almeno la certificata esenzione dalla Cardiomiopatia Dilatativa(DCM), rilasciato da un Veterinario specialista in cardiologia fiduciario del Club.
1.1 OBIETTIVI, MISURAZIONI, CONTROLLO GENICO, STIMA DELL’EREDITABILITÀ
L’adozione di un programma di miglioramento integrato e condiviso, sembra l’unica via percorribile nel medio periodo, per portare all’acquisizione di una cultura allevatoriale uniforme e all’arricchimento genetico dei nostri allevamenti. Tenere in conto, oltre che del miglioramento della razza, anche e soprattutto della tutela della salute e della qualità di vita dei nostri Dobermann, cioè prendere atto della necessità di prevenire e combattere le patologie ereditarie prevalenti. Questa è la scommessa su cui si gioca il futuro del Dobermann.
Il primo passo nella pianificazione di un programma di miglioramento è costituito da:
- una chiara definizione degli obiettivi di allevamento; ciò richiede spesso un impegno maggiore di quello impiegato nell’esecuzione finale del progetto; gli obiettivi non devono essere necessariamente statici, ma possono subire cambiamenti nel tempo in seguito all’acquisizione di nuove conoscenze;
- l’individuazione delle misure e delle registrazioni da fare, a questo punto la diffusione generalizzata della prova di Ztp assume importanza vitale;
- l’investigazione sul tipo di controllo genico esercitato dal genotipo dell’individuo e/o della popolazione;
- la stima dell’influenza relativa dell’ambiente e dell’eredità sul/i carattere/i oggetto di osservazione.
I primi due passi sono comuni a tutti i metodi di miglioramento delle produzioni animali. Una volta definiti gli obiettivi e le regole di rilevamento delle misure, il compito dell’allevatore che vuole acquisire e trasmettere i miglioramenti ottenuti consiste nell’applicazione dei due passi successivi (il 3 e il 4).
Dalle argomentazioni che seguono, si comprenderà meglio che l’elemento critico dell’applicazione di un Piano di miglioramento di una razza specializzata, qual è il Dobermann, è dato dall’oggettiva difficoltà di sposare le esigenze economiche e di miglioramento con quelle di tutela. Per tale ragione, la strategia allevatoriale del singolo, dovrà trovare, attraverso la conoscenza della struttura genomica della razza, un punto di equilibrio tra la variabilità genetica e la consanguineità.
La gestione della variabilità genetica e il miglioramento genetico del Dobermann sono comunque una sfida prioritaria che l’Allevamento del Dobermann deve accogliere con coraggio e determinazione, anche alla luce delle nuove scoperte di genetica molecolare e degli approfondimenti scientifici in corso sull’individuazione delle cause e sulla localizzazione genomica di alcune patologie ereditarie. La variabilità genetica presente oggi all’interno della razza, costituisce un patrimonio al contempo prezioso, da conoscere a fondo per essere gestito, difeso, preservato e migliorato, negli anni a venire.
Il Dobermann è una popolazione la cui gestione genetica richiede accorgimenti particolari, non soltanto a causa della sua storia genetica, di cui si è ampiamente scritto, ma soprattutto per la recente, grave riduzione delle nascite in Europa, legata essenzialmente all’adozione di norme falsamente animaliste, che stanno creando un irreparabile danno zootecnico, altre che uno scempio culturale. Se poi si aggiunge la pressione selettiva, non sempre ragionata, portata a termine e attenta, cui il Dobermann è sottoposto, è concreto il rischio al suo interno di una ulteriore riduzione della variabilità genetica.
Il filo conduttore dell’intero progetto si basa sui seguenti convincimenti:
- la pressione selettiva, tanta o poca che sia, agisce su una data popolazione influenzandone le frequenze geniche;
- la popolazione Dobermann potrà essere considerata stabile quando avrà raggiunto un picco adattativo, ottenuto per selezione, che agisce sulla sua, intera struttura genetica.
Gestire geneticamente una razza selezionata e altamente specializzata come il Dobermann significa contribuire in maniera efficace al suo miglioramento genetico e quindi garantirne il futuro, la crescita e la diffusione.
Il miglioramento genetico finalizzato, non può però prescindere da un approccio scientifico noto, semplificato, sperimentato e condiviso. Il fine ultimo del nostro lavoro è, infatti, apportare conoscenze e fornire agli allevatori strumenti utili e direttamente fruibili, per un concreto sostegno alle loro scelte selettive, consentendo loro di produrre Dobermann sani e robusti, normali nella loro conformazione morfologica, eccellenti per attitudini, indole e carattere.
Occorre però tenere presente che il controllo, il mantenimento e il miglioramento della variabilità genetica, obiettivo imprescindibile per il Dobermann, prevede obiettivi di selezione ragionati che dovranno limitare, in una certa misura, l’incremento della consanguineità e, in misura più importante, l’uso di un numero troppo ristretto di maschi nella gran parte degli accoppiamenti.
In particolare, la limitazione dell’inbreeding, genera non poche difficoltà di tipo operativo e culturale. Per tale ragione diventa di primaria importanza il ruolo che l’IDC dovrà avere, nello studio e nella diffusione, informata e condivisa delle scelte conseguenti alle conclusioni dello studio qui proposto.
Rispetto a quanto è stato evidenziato in premessa, andrà in primo luogo risolta la difficoltà di valutare il livello e l’effetto della consanguineità nella popolazione di Dobermann.
Per questo sarà creato un file unico per la registrazione e l’elaborazione dei dati di discendenza contenuti nei singoli pedigree; in esso, ogni anno, dovranno essere inseriti i dati dei nuovi nati.
A quel punto, per determinare con certezza quali sono i rischi dell’incremento del livello di consanguineità, sarà necessario non valutare quel dato in senso assoluto, ma correlarlo al miglioramento genetico della popolazione. L’incremento del livello di parentela tra i soggetti appartenenti a una popolazione è, infatti, un effetto imprescindibile del miglioramento genetico. Chi alleva sa che, se si scelgono soltanto i migliori soggetti per ottenere la generazione successiva, in quest’ultima, saranno presenti nuovi nati tra loro più imparentati della generazione precedente.
Il miglioramento genetico aumenta quindi sia le performance degli animali sia la consanguineità ma quest’ultima, a sua volta, le deprime in una certa misura. Le scelte si giocano, quindi, nell’equilibrio tra questi due effetti. Va tenuto inoltre presente che l’impatto di un aumento di consanguineità non è lineare. La depressione da inbreeding è molto ridotta quando i livelli di consanguineità sono bassi, ma quando vanno ad aumentare, la problematica si evidenzia in modo più marcato.
La consanguineità non è neppure l’unico criterio da poter utilizzare per controllare la variabilità genetica nella popolazione. Seguire soltanto questo criterio potrebbe essere insufficiente. La consanguineità si abbatte quando si accoppiano due individui non parenti tra loro, ma la variabilità genetica nella popolazione rimane inalterata. Il controllo e la gestione della consanguineità e della variabilità genetica sono operazioni molto complesse che potrebbero richiedere alcune rinunce anche dal punto di vista selettivo.
Se fosse necessario intervenire per ridurre la consanguineità occorrerà procedere con uno sforzo ragionato sia tra l’IDC e i Club nazionali di razza, che dovranno fornire gli strumenti tecnici, sia da parte degli allevatori cui compete la scelta di ogni singolo accoppiamento. Soltanto la presa di coscienza di tutte le parti e lo sforzo comune potranno dare i massimi risultati con le minime rinunce.
In ogni modo, con l’utilizzo di indicatori concreti e ben supportati, si fornisce a tutti club dei Paesi membri dell’IDC, un mezzo potentissimo, con il quale gestire per il futuro le scelte selettive che si tradurranno in
chiare e precise linee guida da proporre a soci e allevatori.
Nelle relazioni tra i vari Club di razza e con l’IDC stesso, lo studio costituirà una pietra miliare che aiuterà anche a comprendere quali legami esistano a livello mondiale tra tutti gli Allevamenti. A quel punto potremo di attribuire, con efficacia, l’identità genetica di razza di un singolo soggetto (attribuzione dell’identità razziale), partendo da un qualsiasi campione biologico: pelo, saliva, sperma, sangue, e al contempo sarà ugualmente possibile determinare il livello di reale affidabilità di un test di paternità. Questi due punti sono di importanza cruciale in materia di riconoscimento ufficiale dei riproduttori selezionati o di iscrizione di un individuo alla razza a titolo iniziale oppure in caso di provenienza estera del soggetto.
Soprattutto saremo in grado di conoscere con certezza quale sia lo stato di salute della razza e di predisporre un piano ragionato di allevamento che comprenda il contenimento e l’eradicazione delle malattie geneticamente trasmissibili prevalenti nella nostra razza.
La prima fase del progetto si basa su tre linee principali, caratterizzate rispettivamente da un approccio genetico – molecolare, da un approccio genealogico, e da un approccio biometrico che prevedono:
-
- la definizione dei parametri genetici della popolazione e l’analisi della variabilità genetica;
- la stima dei valori di consanguineità e di parentela;
- la stima dei parametri fenotipici e genetici dei caratteri quantitativi selezionati a livello di razza e degli indici fenotipici e genetici dei riproduttori-
La seconda fase del progetto prevede:
- la valutazione del rischio per le malattie monofattoriali e multifattoriali prevalenti nella razza Dobermann;
- la stima dei parametri genetici delle malattie multifattoriali;
- la stesura di un piano per rilevare e prevenire le malattie genetiche nel Dobermann;
- l’individuazione di portatori di malattie recessive attraverso screening genetici, biochimici e strumentali;
- l’indicizzazione dei riproduttori e stima del valore di rischio per le malattie mono e multifattoriali;
- la modellizzazione dei piani di controllo e di eradicazione delle malattie mono fattoriali e multifattoriali;
- la stima del rischio per singolo riproduttore per malattie multifattoriali;
- l’attribuzione della identità individuale e razziale;
- i test di paternità e di maternità.
Il progetto risponde a precise domande che si pongono i singoli allevatori, i Club di razza, i proprietari e gli appassionati del Dobermann. Nella discussione dei risultati, sia i dati di popolazione, sia quelli prodotti dall’analisi di genetica molecolare effettuata sul Genoma dei Dobermann campionati, saranno analizzati e discussi in parallelo al fine di consigliare gli allevatori nelle loro scelte future.
1.2LA VARIABILITA’ GENETICA
La variabilità genetica è una misura della tendenza dei genotipi individuali in una popolazione di variare l’uno dall’altro. La variabilità genetica in una popolazione è importante per la biodiversità, perché in presenza di una variabilità genetica ridotta, diventa difficile per una popolazione adattarsi ai cambiamenti ambientali e, il che la rende più incline a estinzione.
La caratterizzazione e la valutazione della variabilità genetica possono fornire un utile strumento d’indagine per l’individuazione di adeguate strategie nella corretta gestione del patrimonio genetico di popolazioni canine, anche se caratterizzate, da una taglia efficace della popolazione (Ne), relativamente limitata, quale potrebbe essere quella del Dobermann.
In tal senso, gli strumenti forniti dalla genetica molecolare consentono di approfondire le conoscenze che si riferiscono al livello di variabilità e alla stratificazione genetica della nostra popolazione di Dobermann.
Questo permette di raggiungere elevati livelli di accuratezza nella stima dei principali parametri genetici di popolazione, che costituiscono gli indicatori fondamentali per la verifica di una corretta gestione delle risorse disponibili, e consente di ottimizzare la gestione dell’Allevamento.
L’adozione di strategie selettive ottimali, che tengano in conto il mantenimento e il miglioramento del patrimonio di geni delle razze canine allevate, rappresenta oggi un requisito fondamentale per il recupero, la tutela e la valorizzazione delle popolazioni canine e con esse, dell’insieme di valori, storico-culturali ed etologici associati alla loro attività di utilizzazione primaria.
Interrogarsi sulle cause che determinano la perdita della variabilità genetica, costituisce il primo passo per gestire responsabilmente il futuro di una razza.
Quando una razza si avvia verso una condizione di variabilità genetica limitata, il Club di razza che la gestisce ha tutto l’interesse a cercare di capire quali siano le cause di questo stato di cose, ma ha anche il dovere di gestire coscientemente la razza di cui è responsabile per cercare di invertire la rotta, se questa porta verso una direzione sbagliata, e per trovare prima possibile, i rimedi necessari, usufruendo delle risorse che la scienza mette a disposizione. Un aspetto importante nella difesa delle razze a effettivo numerico limitato, è quello concernente le regole di gestione della riproduzione ai fini del mantenimento e dell’ampliamento della variabilità genetica.
L’esigenza di difesa della variabilità genetica nelle popolazioni canine nasce:
- dalla necessità di conservare forme alleliche utili e di impedire l’eccessiva fissazione in omozigosi di varianti alleliche che determinino il manifestarsi di patologie a base genetica;
- dalla necessità di preservare una variabilità utile in caso di possibili cambiamenti degli obiettivi di selezione;
- dalla necessità di impedire un impoverimento di variabilità che si traduce anche in una riduzione della fertilità e della prolificità;
- per motivazioni di ordine storico e culturale ed etico, poiché la variabilità genetica non rappresenta esclusivamente un bene da difendere e da trasmettere a chi si troverà a gestirla per il futuro, ma anche un bene in sé e per sé.
Le attività da intraprendere nel piano di conservazione genetica della razza prevedono:
- l’identificazione e la caratterizzazione della razza, evidenziandone la peculiarità e la potenzialità in termini di contributo al mantenimento della biodiversità,e dell’utilizzo attitudinale;
- lo sviluppo di azioni che favoriscano anche la valorizzazione economica della razza, quale strumento incentivazione attraverso la valorizzazione del legame con le tradizioni storico-culturali legate al suo allevamento, che favoriscano nuovo impulso alla valorizzazione e diffusione della razza stessa;
- l’adozione di politiche appropriate per il coinvolgimento e la ricerca di sinergie tra tutte le parti in causa (privati, Club Nazionali, IDC e mondo veterinario ed accademico).
Da ciò dovrebbe essere chiara l’importanza che il monitoraggio e la gestione dei parametri genetici e demografici di una popolazione rivestono in un piano di conservazione genetica.
In termini più generali, nella realtà odierna, non si potrà parlare di “fatalità”, neppure nel caso di una razza a effettivo limitato o a rischio reliquia, poiché gli studi di genetica molecolare ci indicano la reale riserva di variabilità genetica riscontrabile all’interno della popolazione e dal momento in cui esistono concreti mezzi per poterla gestire e ampliare con mirati piani di accoppiamento.
Sempre in termini generali, si deve tener presente che, nel caso di una popolazione realmente a rischio, un’azione di prima emergenza consiste nel far accoppiare il maggior numero di riproduttori maschi possibile, in condizioni rilevanti in concreto tutti i riproduttori esistenti escludendo per ovvi motivi chi fosse portatore di tare. In questo stato di cose la selezione della razza passa in secondo piano e si è costretti ad accettare, in qualità di riproduttori, soggetti che, in condizioni normali, non sarebbero stati ammessi alla riproduzione.
Fortunatamente i nostri Dobermann non sono ancora in queste condizioni, questo anche per aver potuto mantenere in questi ultimi anni, un certo livello di nascite, grazie al fatto che in numerosi Paesi europei è ancora possibile tagliare la coda e rimodellare i padiglioni auricolari. Ciò grazie anche alla forza d’animo e alla perspicacia del presidente Hans Wiblishauser che è riuscito a non cambiare lo Standard di razza del Dobermann; grazie, per questo, alla sua persona e a tutti gli amici allevatori, appassionati e sportivi tedeschi.
La scienza però ci dice che la diminuzione della popolazione effettiva, ossia di quella che è impiegata in riproduzione, ha un effetto letale sulla sopravvivenza di qualsiasi razza. In conformità a questo principio occorre attentamente considerare che, dovendo noi, in ogni modo intervenire prima possibile per porre rimedio e ridurre la prevalenza di alcune patologie ereditarie che affliggono il Dobermann, sarà necessario da subito o per gradi escludere dalla riproduzione i soggetti affetti. Questo ineludibile intervento porterà naturalmente a un’ulteriore importante riduzione popolazione effettiva.
In tali condizioni un cambiamento di indirizzo interno sull’ammissibilità a giudizio dei dobermann con coda amputata e padiglione auricolare rimodellato, sarebbe disastroso. Per tali oggettive ragioni, nel nome del Dobermann, della sua storia, della sua realtà, della sua lealtà e del suo futuro, ci auguriamo che la Dobermann Verein e V, come fino ad oggi ha fatto, continui a operare con forza e determinazione per tutelare la razza.
1.3 I MARKERS GENOMICI
L’uso di marcatori e sequenziatori genomici si è rivelato uno strumento davvero utile di ricerca. Esso consente, a partire direttamente dalle informazioni molecolari, la stima di parametri fondamentali quali la taglia efficace di popolazione(Ne), l’individuazione della presenza di bottleneck, la determinazione del contributo dei fondatori (founder effect) nella storia della popolazione, la stima del livello di inbreeding degli individui, la presenza di flusso genico e admixture con altre razze, la presenza di stratificazione genetica all’interno della popolazione ed ancora la stima di parametri per la valutazione della variabilità intra-razza, quali gene diversity ed allelic diversity. L’uso di marcatori molecolari può certamente fornire un prezioso supporto per la costituzione di un profilo gnomico, e consente di ottenere la massima accuratezza e affidabilità dalle informazioni di pedigree. Le moderne tecniche sono il migliore strumento d’indagine per l’individuazione di adeguate strategie nella corretta gestione del patrimonio genetico delle popolazioni canine.
1.4 L’ININCROCIO E LA PARENTELA
L’inincrocio(inbreeding)risulta dall’accoppiamento di animali parenti. Maggiore è il grado di parentela dei due genitori e maggiore sarà l’inbreeding presentato da un loro figlio. L’inincrocio è espresso da un coefficiente che può assumere qualunque valore compreso tra zero (nessuna consanguineità) e uno (massima consanguineità teoricamente possibile con l’auto riproduzione e quindi in campo vegetale).
Il coefficiente di inincrocio di un soggetto (Fx), che è uguale alla kinship dei genitori o alla metà del coefficiente di parentela additiva tra i due genitori, indica la percentuale media di loci omozigoti per discendenza.
In altre parole, esso esprime la frazione media del patrimonio genetico che un individuo riceve, identico, sia dal padre sia dalla madre, in virtù del fatto che i genitori erano tra loro imparentati.
Il calcolo del coefficiente di inincrocio degli individui (Fx) è molto utile e deve essere condotto e monitorato in un allevamento, onde evitare gli effetti negativi che sorgono in seguito ad un uso eccessivo della
consanguineità.
L’inincrocio o inbreeding ha l’effetto di aumentare nella popolazione l’omozigosi e di ridurre l’eterozigosi.
Nel genotipo di figli di genitori consanguinei è più frequente la presenza di due alleli identici per un determinato gene, trasmessi dall’antenato comune ai genitori(uno attraverso la madre e l’altro attraverso il padre).
Il coefficiente di consanguineità si accumula se gli accoppiamenti tra parenti sono ripetuti per generazioni successive. Ad esempio, accoppiando un maschio e una femmina figli dello stesso cane e di madri diverse
(mezzi fratelli di padre), il coefficiente di consanguineità dei loro figli sarà 0,125. Se ripetiamo nuovamente un tale accoppiamento, il coefficiente di consanguineità raggiungerà il valore di 0,219 alla seconda generazione, di 0,305 alla terza, di 0,381 alla quarta, di 0,449 alla quinta e così via.
Normalmente l’allevatore cerca di evitare di accoppiare tra loro parenti di primo o secondo grado (parenti stretti), ma non dobbiamo dimenticarci del cosiddetto “back-ground Inbreeding” ovvero della consanguineità che si accumula di generazione in generazione. Sarebbe quindi necessario monitorare e fare il calcolo del coefficiente d’inbreeding considerando l’apporto di inbreeding dei progenitori comuni(Fa), presenti nel pedigree per almeno sette generazioni antecedenti, proprio per evitare di raggiungere un livello critico di consanguineità.
Si è già detto che la consanguineità di un soggetto non si trasferisce alla progenie se questo è accoppiato con un soggetto non parente: se due individui consanguinei ma non parenti sono accoppiati tra loro, la consanguineità della loro progenie sarà drasticamente abbattuta.
Su quale sia il coefficiente di consanguineità ritenuto pericoloso, in altre parole oltre il quale sarebbe bene non andare, ci sono pareri contrastanti. In linea generale dobbiamo ricordarci che nessun coefficiente di consanguineità è esente dalla depressione da inbreeding, in altre parole, gli effetti negativi sono proporzionali a tale coefficiente. Valori superiori a 0,100 devono essere tenuti sotto stretto controllo. Gli obiettivi principali di questa parte della ricerca sono: stimare i valori di consanguineità (Fx) di ogni singolo soggetto, il coefficiente di kinship, il coefficiente di consanguineità medio della popolazione Dobermann, il valore della sua velocità media annua di accrescimento, il valore dell’incremento di consanguineità per generazione, correlati ai valori che si riferiscono al numero effettivo della popolazione(Ne), quindi alla vitalità della razza e a quelli sulla variabilità genetica. Per il calcolo di una parte di questi dati, si potrà utilizzare il database di WinBreed in uso presso l’AIAD, che contiene oltre 150.000 pedigree di Dobermann e che, quasi per tutti i soggetti registrati, consente di risalire per linea paterna e/o materna per oltre trenta generazioni, fino ai progenitori della razza, nati negli ultimi anni dell’800. A questi dati occorrerà aggiungere quelli provenienti dai vari Paesi aderenti all’IDC, ossia i dati concernenti i Dobermann nati negli ultimi dieci anni, estratti direttamente dal database del Libri Origine delle varie Nazioni. Conseguentemente, i risultati saranno certificati e si potrà consegnare agli allevatori un mezzo molto affidabile per la definizione di accoppiamenti programmati, volti alla realizzazione gli obiettivi di selezione. Inoltre, come applicazione dello studio dei valori di parentela, saranno individuati i riproduttori che hanno avuto ed hanno peso genetico nella popolazione Dobermann.
1.5 EREDITABILITA‘ DIE CARATTERI QUANTITATIVI
Nella stima del valore genetico di un dobermann quello che interessa sono le informazioni che esso trasferisce alla sua discendenza. Per attuare un piano di miglioramento genetico, è necessario scegliere gli animali che sono in grado di trasmettere alla loro discendenza il gruppo di alleli più favorevoli. Inoltre, nei gameti non troviamo esattamente uno dei 2 cromosomi omologhi presenti nel genitore, ma. in seguito ad un fenomeno denominato crossing over, si trova una mescolanza di frammenti provenienti dai due filamenti originali. Questa è la principale motivazione per la quale anche due fratelli pieni possono avere capacità riproduttive molto differenti. Va tenuto inoltre presente i caratteri di maggior interesse sono poligenici. Cioè, la loro capacità di esprimersi è il risultato dell’effetto combinato di molti geni, ognuno dei quali ha un impatto diverso sul risultato finale.
L’ereditabilità di un carattere è un parametro genetico ben preciso e stimabile come coefficiente di ereditabilità che ha valori compresi tra 0 ed 1.
Questo coefficiente ha due utilizzazioni principali nel miglioramento genetico: serve a stimare il valore genetico additivo dei genitori e a predire, in funzione della strategia di miglioramento scelta, il progresso genetico atteso nella popolazione o incremento genetico.
Ci sono però diversi elementi ancora non ben studiati:
- non si conosce con esattezza quanti geni sono coinvolti nel manifestarsi di un singolo carattere poligenico;
- non si sa dove siano posizionati tutti questi geni all’interno del genoma;
- non è determinabile l’esatto valore del contributo di ogni singolo gene nella manifestazione finale del carattere;
- non è possibile individuare quali alleli dei genitori sono stati trasmessi al figlio.
Per ora, quindi, l’unica alternativa è ottenere delle stime degli indici genetici partendo dalla “fine”, cioè dal dato fenotipico e seguendo un percorso a ritroso.
1.6 STIMA DEGLI INDICI GENETICI
L’indice genetico è la stima dei valori riproduttivi di un animale per uno o più caratteri. Per la stima dei valori riproduttivi degli animali si utilizzano due fonti di informazioni:
- la parentela tra gli animali nella popolazione, come si sa la metà dei geni di ciascun genitore è trasmessa alla sua discendenza;
- le registrazioni fenotipiche che sono misurazioni di quello che è possibile rilevare sul campo e sono la manifestazione della somma degli effetti genetico additivo, genetico non additivo e ambientale, specifici di ogni animale.
La misura tal quale di un carattere dipende, infatti, da una parte genetica, trasmissibile alla discendenza, e da una componente ambientale, che non può essere trasmessa e che può essere modificata nel tempo.
Tra i fattori ambientali si ricorda per esempio l’effetto dell’alimentazione e della gestione del cane, che dipendono soltanto dall’abilità dell’allevatore e/o del proprietario, non da una capacità intrinseca e trasmissibile dell’animale.
Il calcolo di indici genetici ha l’obiettivo di separare la componente genetica da quella ambientale in modo da fornire una classifica dei migliori animali in base al loro valore genetico.
La valutazione genetica può essere effettuata solo relativamente a caratteri che hanno due requisiti
fondamentali:
- devono essere caratteri misurabili. Per effettuare una valutazione genetica è necessario che esistano registrazioni fenotipiche sia oggettive sia soggettive, ovviamente più la registrazione è oggettiva ed accurata più la stima dei valori riproduttivi è esatta;
- devono essere caratteri ereditabili, cioè devono essere caratteri controllati dai geni. Più è elevata l’ereditabilità del carattere più è possibile fare stime accurate dei valori genetici.
E’difficile ottenere stime accurate per i caratteri a bassa ereditabilità.
L’obiettivo di selezione di interesse per noi è quello di ottenere un “animale ideale” che ha caratteristiche morfologiche “medie”. Ogni allevatore potrà così fare determinati accoppiamenti per raggiungere, nella progenie, i dati biometrici desiderati. Ad esempio un allevatore che ha un soggetto femminile basso al garrese, potrà consultare gli indici dei soggetti maschili disponibili per l’accoppiamento in modo da selezionare quello che trasmette un’altezza al garrese normale.
2.0 CAMPIONAMENTO
Il campionamento del materiale biologico si baserà sul prelievo di sangue periferico, per estrarre il DNA genomico, materiale indispensabile per le analisi di genetica molecolare, oggetto della ricerca. Come matrice di partenza si è preferito il sangue, perché materiale facile da poter prelevare ed inoltre perché la quantità di DNA che si estrae da questo tessuto è notevole, insieme ad una qualità ed una purezza ottime e necessarie per lo stoccaggio e la conservazione del campione. Il DNA Genomico estratto con questi criteri, può essere conservato e utilizzato anche per obiettivi futuri di ricerca per i prossimi anni a venire.
L’organizzazione logistica della campagna dei campionamenti sarà impostata con l’obiettivo di ottenere il numero di campioni utili alla ricerca nel minor tempo possibile e, conseguentemente, con l’imperativo di razionalizzare il flusso dei campioni da inviare al laboratorio e al contempo, di razionalizzare i prelievi. Tutto questo rispettando le tempistiche necessarie all’avvio e allo svolgimento della ricerca che è impostata su un anno solare. Tenendo conto di quanto detto, i soggetti prescelti per i campionamenti saranno individuati su base scientifica.
2.1L’ ARCHIVIO GENOMICO
I campioni di DNA, stoccati e conservati, andranno a costituire una banca di DNA fondamentale per la creazione di un Archivio Genomico della razza Dobermann. L’Archivio Genomico non solo rende concreta e fissa un’immagine reale e conservabile per il futuro della popolazione campionata e ora esistente, ma può e deve essere costantemente arricchito e ampliato con l’aggiunta di nuovi campioni negli anni a venire. In questo modo si potranno, non solo collezionare i DNA di soggetti non imparentati tra loro che ci aiuteranno a monitorare nel tempo l’andamento della variabilità genetica all’interno della popolazione, ma potranno essere collezionati i DNA di intere famiglie, al fine di poter portare avanti la seconda fase del programma. Così facendo sarà possibile seguire, attraverso le varie generazioni, la trasmissione di caratteristiche fenotipiche, attitudinali e del carattere che l’Allevatore intende ottenere mediante il raggiungimento dei suoi obiettivi selettivi.
Fino a qualche anno fa era impossibile indagare la base genetica delle attitudini e dell’addestrabilità dei soggetti. Oggi, grazie alle informazioni fornite dalla mappa genomica del cane, per le suddette caratteristiche sono indicate addirittura precise regioni cromosomiche e geni candidati quali probabili obiettivi di studio. I risultati della stessa ricerca hanno evidenziano una chiara correlazione inversa esistente tra il peso corporeo e la longevità del cane e localizzano, su precisi cromosomi, una serie di Tratti Quantitativi o QTL (Quantitative Trait Locus), che sono coinvolti in maniera statisticamente rilevante, sia nella correlazione inversa esistente tra la taglia e la longevità, sia nella capacità di influenzare o solo la longevità o solo la taglia corporea. Per studiare proprio nel Dobermann la base genetica di queste stesse caratteristiche, in un imminente futuro sarà fondamentale poter attingere ai campioni collezionati e conservati nell’Archivio Genomico grazie alla ricerca avviata con il presente progetto.
Un Archivio Genomico che non ha solo funzione di memoria storica ma che assume un valore fondamentale, se è aggiornato con il passare delle generazioni in maniera continua, dal quale poter attingere informazioni genetiche preziose dal DNA dei Dobermann che tra qualche anno non esisteranno più. L’IDC in questo modo potrà realmente seguire e guidare con mezzi efficaci e concreti l’andamento e il raggiungimento dei propri obiettivi selettivi di miglioramento genetico della razza.
3.0CONDIVISIONE ALLELICA E PARENTELE BIOLOGICHE
Dall’analisi delle genealogie dei soggetti tipizzati con marcatori genetici, si procederà al calcolo del coefficiente di kinship per tutte le coppie possibili utilizzando l’intera genealogia presente sul pedigree. Il livello di apparentamento biologico fra coppie di individui può anche essere stimato dal livello della condivisione di alleli per loci genetici.
L’indagine di paternità, basata sul DNA, è una tipica applicazione di quest’approccio. Nel caso di coppie genitore-figlio, almeno un allele deve essere condiviso in ciascun locus. E’ però possibile che siano condivisi
ambedue gli alleli, se per caso il figlio ha ricevuto dall’altro genitore lo stesso allele presente nel primo genitore. Pertanto l’indice di condivisione allelica, definito come numero di alleli condivisi diviso per il numero totale di alleli tipizzati, non può essere < 0,5 per coppie genitore figlio, e può essere anche considerevolmente maggiore di 0,5 se la variabilità genetica dei loci considerati è bassa o se i due genitori sono imparentati. Lo stesso valore di 0,5 contraddistingue le coppie di fratelli pieni; in questo caso tuttavia si tratta di un valore atteso, perché due fratelli possono condividere teoricamente zero alleli (con probabilità 25%) 1 allele (con probabilità 50%) e 2 alleli (con probabilità 25%). Anche nel caso dei fratelli l’indice di condivisione allelica può essere maggiore di 0,5 se la variabilità genetica del locus è bassa o se i genitori sono imparentati fra loro.
3.1 TIPICITA’ E ATTiTUDINI Vs. PROFILO GENOMICO
I soggetti analizzati geneticamente, se non in possesso di Ztp, saranno valutati, da un giudice incaricato dalla Dobermann Verein e V. per gli aspetti morfologici, attitudinali e del carattere. Per tali soggetti sarà costruita una tabella riportante il numero di alleli condivisi nel loro profilo allelico genomico, con lo stesso profilo genomico, ottenuto per ciascun cane appartenente al resto della popolazione analizzata, dal punto di vista molecolare ed il giudizio dato dagli esperti di razza, espresso come punteggio. I soggetti che avranno un numero di alleli in comune più alto con il resto della popolazione analizzata saranno quelli geneticamente più simili agli altri, mentre chi avrà un numero di alleli in comune al resto della popolazione inferiore, sarà più variabile per profilo genetico rispetto agli altri. Per tale ragione questi ultimi soggetti potrebbero essere i più adatti per la selezione indirizzata verso la bellezza e lo sport con il cane, perché associano ad una buona variabilità genetica anche ottime qualità morfologiche, attitudinali e del carattere. Una delle applicazioni già ampiamente consolidate, connesse al progetto, è l’attribuzione biologica di paternità e maternità. Il valore aggiunto agli animali da tale certificazione è verosimilmente maggiore del costo della tipizzazione, che fra l’altro continua a diminuire per effetto del miglioramento delle tecniche di analisi. Una prospettiva concreta aperta dalla presente ricerca è quindi la possibilità di procedere alla tipizzazione genetica di ciascun dobermann da immettere in riproduzione della richiesta degli allevatori o dei proprietari Un’altra applicazione della tipizzazione genetica è la valutazione della combinabilità tra loro degli animali destinati all’accoppiamento.
4.0 CAMPIONAMENTO DEGLI ANIMALI PER LA VALUTAZIONE MORFOLOGICA
Per evidenziare poi la variabilità fenotipica e il dimorfismo sessuale, saranno effettuate misurazioni morfologiche su maschi e femmine di età compresa tra i sette mesi ed i sette anni in occasione dei Raduni di razza più importanti e ogni cane sarà fotografato con accorgimenti che consentono di effettuare le rilevazioni somatiche anche tramite software. Su ciascun soggetto in corretta posizione di piazzato e su terreno piano, con il cinometro e con il metro, saranno effettuate le seguenti misurazioni biometriche:
- altezza al garrese (misurazione da terra alla terza vertebra dorsale);
- circonferenza del torace (misurata caudalmente alle scapole);
- larghezza della groppa (misurata tra le punte esterne dell’ala iliaca);
- larghezza del bacino (misurata tra le punte esterne della tuberosità ischiatica);
- lunghezza della groppa (misurata dalla punta dell’ala iliaca al punto caudale dell’ischio;
- circonferenza dello stinco;
- circonferenza metacarpale;
- altezza alla groppa (misurazione da terra al punto più alto della groppa);
- altezza del torace (misurata caudalmente alle scapole);
- lunghezza del tronco (misurata dall’articolazione scapolo – omerale alla tuberosità ischiatica);
- lunghezza orecchio, se intero;
- lunghezza della coda se intera;
- lunghezza testa(misurata dal punto medio della cresta occipitale al punto medio del margine
- antero-superiore del tartufo;
- larghezza della testa misurata alle arcate zigomatiche.
5.0GLOSSARIO DEI TERMINI TECNICI
ALLELE, in genetica, per allele si intende ogni forma vitale di DNA codificante per lo stesso gene: in altre parole, l’allele è responsabile della particolare modalità con cui si manifesta il carattere ereditario controllato da quel gene. Ad esempio, un gene che controlla il carattere “colore degli occhi” può esistere in due alleli (cioè in due forme alternative): l’allele “occhio chiaro” e l’allele “occhio scuro”. Occorre precisare che con allele si può indicare anche il diverso polimorfismo che un locus non codificante può avere.
Ciascun individuo definito diploide, come gran parte dei viventi, possiede per ciascun carattere, in altre parole per ciascun gene, due alleli, ossia due copie; ognuno dei due alleli è presente su uno stesso locus (posizione), su ciascuno dei due cromosomi che costituiscono, nella cellula, una coppia di omologhi. Se sui cromosomi omologhi vi è una duplice copia dello stesso allele, si dice che l’individuo è omozigote per quel carattere; se gli alleli sono differenti, l’individuo è detto eterozigote. Ogni carattere, all’interno di una popolazione, può essere rappresentato anche da molti alleli (sebbene ogni individuo ne possa portare solo
due).
L’insieme degli alleli presenti in una popolazione è detto pool genico. La variabilità della frequenza con cui gli alleli compaiono nel pool è l’oggetto di studio della branca della genetica detta genetica di popolazione.
Non tutti gli alleli determinano un effetto visibile nell’individuo che ne è portatore. Se il carattere da essi controllato si manifesta, si parla di alleli dominanti; in caso contrario si parla di alleli recessivi. Un individuo può essere quindi omozigote dominante, se possiede due alleli dominanti; eterozigote, se possiede due alleli differenti; omozigote recessivo, se possiede entrambi gli alleli recessivi. Un allele dominante sarà espresso sempre, anche se l’individuo è eterozigote. Un allele recessivo potrà essere espresso solo in individui omozigoti recessivi. L’insieme dei caratteri visibili in un organismo prende il nome di fenotipo, mentre l’insieme del suo corredo di geni (comprendente quindi alleli dominanti e recessivi), è detto genotipo.
Per convenzione, gli alleli sono indicati da una singola lettera, maiuscola per indicare l’allele dominante (ad esempio A) e minuscola per l’allele recessivo (ad esempio a). Gli eterozigoti (Aa) e omozigoti (AA) per un determinato gene hanno un fenotipo A, poiché mostrano l’effetto dell’allele dominante, mentre gli omozigoti (aa) mostrano l’effetto dell’allele recessivo e hanno fenotipo a.
COEFFICIENTE DI KINSHIP: riferito a due individui diversi, misura la probabilità che due alleli dello stesso locus scelti a caso, uno per ciascuno dei due soggetti, siano identici per discendenza.
COEFFICIENTE DI ININCROCIO (inbreeding, consanguineità): riferito al singolo individuo, misura la probabilità che un soggetto sia omozigote per un allele identico per discendenza. Il coefficiente di inincrocio di un individuo è uguale al coefficiente di kinship dei suoi genitori.
COEFFICIENTE DI PARENTELA (relatedness): riferito a due individui diversi, e misura la probabilità che essi condividano un allele identico per discendenza sull’uno o sull’altro dei due cromosomi omologhi. Il coefficiente di parentela è il doppio del coefficiente di kinship .
EREDITABILITA’: indice di trasmissibilità di un carattere quantitativo (h2) descrive la quota di variabilità del carattere che è dovuta ad effetti genetici, è un parametro molto importante per la selezione genetica. Caratteri ad elevata ereditabilità sono selezionabili in modo agevole, al contrario una bassa ereditabilità indica che sono gli aspetti gestionali, più che quelli genetici a determinare le differenze osservabili tra gli animali
ETEROZIGOSI: in genetica, si definisce come eterozigosi, la condizione genetica di una cellula o di un organismo costituita dalla presenza di una coppia di alleli diversi per un dato gene; gli alleli occupano gli stessi loci sui cromosomi omologhi corrispondenti
GENE: è l’unità ereditaria degli organismi viventi. I geni sono contenuti nel genoma di un organismo, che può essere composto di DNA o di RNA, e dirigono lo sviluppo fisico ecomportamentale dell’organismo. La maggior parte dei geni codifica proteine, che sono le macromolecole maggiormente coinvolte nei processi biochimici e metabolici della cellula. Molti geni non codificano proteine, ma producono RNA non codificante, che può giocare un ruolo fondamentale nella biosintesi delle proteine e nell’espressione genica.
INTERVALLO DI GENERAZIONE(L): è il tempo che intercorre tra la nascita di un riproduttore e quello dello stesso sesso che lo sostituisce.
LOCUS GENICO: (o più semplicemente Locus, plurale Loci) in biologia e in computazione evoluzionistica, il termine designa la posizione di un gene o di un’altra sequenza significativa all’interno di un cromosoma.
MIGLIORAMENTO GENETICO: si intende il processo di modifica del patrimonio genetico al fine di migliorare le caratteristiche utili all’uomo nelle specie coltivate o allevate. Tale processo è spesso avvenuto in modo inconsapevole ed empirico attraverso la scelta di fenotipi considerati migliori. Attualmente, grazie alle moderne tecniche biotecnologiche, tale processo risulta essere una combinazione delle osservazioni fenotipiche, con le conoscenze genotipiche, rese disponibili dallo studio dei genomi.
NUMERO EFFETTIVO DEI FONDATORI (fe) ED IL NUMERO EFFETTIVO DEGLI ANTENATI (fa): Il primo rappresenta il numero dei fondatori che hanno contribuito in eguale misura e che ci aspettiamo che riproducano sempre la stessa diversità genetica. Il secondo parametro (fa) è il numero minimo di antenati, non necessariamente fondatori, che spiega la completa diversità genetica in una popolazione. Questo parametro non tiene completamente conto della perdita dei geni casuale dagli antenati alla popolazione di riferimento, ma completa l’informazione data da fe poiché tiene in considerazione la perdita di variabilità genetica prodotta da un uso sbilanciato dei riproduttori determinata dal “collo di bottiglia”.
NUMERO EFFETTIVO DELLA POPOLAZIONE(Taglia efficace(Ne): definisce il numero degli animali in allevamento che potrebbero incrementare la consanguineità se essi contribuissero ugualmente alle generazioni future. La Taglia efficace di una popolazione è rappresentata dalla relazione tra numero efficace e numero reale Ne = N + ½
OMOZIGOSI: in contrapposizione all’eterozigosi, è la condizione genetica di una cellula o di un organismo costituita dalla presenza di alleli identici per un dato gene.
PARENTELA: è la probabilità che 2 individui abbiano nel loro patrimonio genetico copie identiche dello stesso allele derivanti da un antenato comune
POLIMORFISMO: indica l’esistenza in una popolazione di più di un allele per un dato locus con frequenza superiore all’1%.
TRATTI QUANTITATIVI (Quantitative Trait Locus)un QTL è una regione di DNA associata ad un particolare carattere quantitativo. Il QTL è strettamente associato ad un gene che determina il carattere fenotipico in questione o partecipa nella sua determinazione.